Cosa sono le terre rare e a cosa servono? I siti inutilizzati in Italia e le opportunità perse
Cosa sono le terre rare e a cosa servono? Perché sono così importanti oggi, un patrimonio strategico per la transizione ecologica e industriale in Italia.

Nonostante il loro nome, le terre rare non sono così “rare” come si potrebbe pensare. Sono 17 elementi chimici che vanno dal lantanio (numero atomico 57) al lutezio (numero 71), racchiusi nel blocco dei lantanidi nella tavola periodica. La loro peculiarità? Una configurazione elettronica complessa, che conferisce loro proprietà fisiche e chimiche straordinarie: magnetismo, luminescenza, capacità catalitiche. È proprio questa combinazione unica che li rende indispensabili nella fabbricazione di tecnologie avanzate.
Cosa sono le terre rare e a cosa servono
Le terre rare sono un gruppo di 17 elementi chimici della tavola periodica (precisamente scandio, ittrio e i lantanoidi) considerati oggi i mattoni invisibili della tecnologia contemporanea. Non esiste smartphone, turbina eolica, auto elettrica, laser chirurgico o missile guidato che non ne contenga almeno una traccia. Le loro proprietà magnetiche e conduttive sono irrinunciabili per applicazioni che vanno dall’elettronica all’aerospazio, dall’energia rinnovabile all’industria militare.
Il loro valore non risiede solo nella rarità geologica, ma nella complessità della loro estrazione e nel ruolo strategico che giocano nell’equilibrio industriale tra le grandi potenze. Costruire filiere più resilienti, sostenibili e innovative—sia attraverso nuovi giacimenti che con il riciclo avanzato—è una sfida cruciale per la sicurezza economica e ambientale del futuro.
Per esempio, il neodimio è utilizzato per realizzare i magneti permanenti più potenti al mondo, fondamentali per motori elettrici e generatori eolici. Il terbio e il disprosio permettono invece ai magneti di resistere alle alte temperature. Ma ci sono anche l’ittrio – impiegato nei LED e nei display ad alta risoluzione – e il lantanio è essenziale nei catalizzatori delle auto e nelle lenti ottiche ad alte prestazioni.
Il paradosso è che questi elementi, utilizzati in quantità minuscole, sono tuttavia decisivi per l’efficienza e la sostenibilità delle tecnologie verdi. Senza terre rare, la transizione ecologica rischia di fermarsi.
Quali sono le terre rare?
Tra i 17 elementi chimici che fanno parte della terre rare ci sono: 15 lantanidi, più scandio e ittrio. Hanno nomi che suonano esotici e quasi fantascientifici (neodimio, praseodimio, disprosio, gadolinio, terbio, lutezio etc.), ma sono tutti metalli dall’aspetto simile, grigio-argenteo, ma con proprietà elettroniche uniche.
Sono raggruppati in fondo alla tavola periodica perché condividono una configurazione elettronica particolare, che li rende capaci di esprimere proprietà magnetiche, conduttive e ottiche straordinarie. Proprio per questo, sono oggi al centro di una delle più cruciali sfide tecnologiche e geopolitiche del nostro tempo.
Chi possiede le terre rare?
Contrariamente a quanto suggerisce il nome, le terre rare non sono così rare nella crosta terrestre. Sono presenti quasi ovunque, ma in concentrazioni molto basse. Ecco dove sta il vero problema: pochissimi giacimenti al mondo sono economicamente sfruttabili, ovvero hanno concentrazioni tali da giustificare l’attività estrattiva e, soprattutto, il costosissimo processo di raffinazione.
Attualmente, la Cina controlla oltre il 60% dell’estrazione mondiale e quasi il 90% della raffinazione. Non solo: Pechino ha recentemente bloccato l’esportazione di alcuni elementi strategici, tra cui il disprosio, il terbio e lo scandio, mettendo in seria difficoltà intere filiere occidentali.
Gli Stati Uniti hanno una miniera attiva in California, a Mountain Pass, ma inviano comunque i materiali in Cina per la lavorazione. L’Europa, invece, dipende quasi interamente dalle importazioni. E l’Italia? Come vedremo, ha delle potenzialità, ma ancora tutte da esplorare.
Dove si trovano in Italia le terre rare?
L’Italia, pur non essendo tra i protagonisti globali, possiede giacimenti potenzialmente interessanti, specialmente in alcune aree del Nord e del Centro Italia. Secondo dati del Servizio Geologico Italiano, esistono concentrazioni di terre rare nei distretti minerari dell’Elba, della Toscana meridionale e del Trentino-Alto Adige. Sono state individuate anche tracce nei fanghi rossi derivanti dalla lavorazione della bauxite, come accade a Portovesme in Sardegna.
Ma ad oggi, nessun giacimento italiano è attivo, e non esiste una filiera nazionale per l’estrazione e il trattamento. Una lacuna grave, considerando le ambizioni italiane in ambito industriale, energetico e tecnologico.
L’Italia potrebbe però inserirsi in una filiera europea integrata. Bruxelles ha infatti incluso le terre rare tra le “materie prime critiche” nella sua Critical Raw Materials Act, approvato nel 2024. Obiettivo? Raggiungere, entro il 2030, almeno il 10% della produzione mondiale direttamente in Europa e il 15% da riciclo.