Perché hanno "sparato" contro un fulmine (e cosa è successo)
Un team di scienziati ha colpito un fulmine, sparandogli contro dei raggi laser. L'obiettivo? Davvero ambizioso: cercare di deviare le scariche elettriche per "guidarle" verso specifici punti di raccolta. Ma com'è andata?
Cosa succederebbe se qualcuno decidesse di “sparare” a un fulmine? La domanda può sembrare quasi goliardica, ai limiti dell’assurdo. Eppure, è letteralmente ciò che è successo: alcuni scienziati hanno deciso di colpire non uno ma più fulmini, usando una sorta di potente mitragliatrice. Ma non immaginatevi niente di tradizionale, perché non sono stati scagliati proiettili, bensì raggi laser.
Ebbene sì: l’intera azione non è stata certamente una trovata ludica. Semplicemente, faceva parte di un esperimento mirato a comprendere quanto, come e quando è possibile deviare i fulmini usando, per l’appunto, i laser. L’impresa è stata titanica e ha portato a dei risultati che possono essere davvero utili per il futuro dell’umanità.
I fulmini e l’idea della deviazione
Come ben sappiamo, i fulmini sono potenti e lunghissime scariche elettriche. La carica che un fulmine può trasportare è così intensa da raggiungere i 30.000°C, ovvero una temperatura circa cinque volte più calda della superficie del Sole. Partendo da questa potenza e dall’importanza dell’energia elettrica, da diversi anni la comunità scientifica si interroga su come e quanto sia possibile canalizzare dei fenomeni meteorologici così imprevedibili.
Se è vero che i parafulmini tradizionali (che risalgono a Benjamin Franklin) sono a oggi il modo migliore per attirare le saette e proteggere edifici, oggetti e persone, i ricercatori si sono più volte chiesti se esiste effettivamente un modo per guidare le scariche elettriche, condurle lontano dalle città e, chi lo sa, sfruttarne l’energia. E a quanto pare, sì: potrebbe essere possibile deviarli.
L’esperimento in Svizzera
A sostenerlo sono gli scienziati dell’École Polytechnique di Palaiseau. Una squadra di ricercatori, guidata dal fisico Aurélien Houard, si è recata in Svizzera, precisamente sulla cima del monte Säntis, portando con sé un dispositivo grande e potente, simile a un’enorme mitragliatrice. Il dispositivo è stato poi “parcheggiato” vicino a una torre usata per le telecomunicazioni, alta 124 metri, che viene colpita regolarmente dai fulmini durante le tempeste.
A questo punto, non hanno fatto altro che aspettare che le nuvole temporalesche si ammassassero e che lo spettacolo avesse inizio: quando le condizioni sono state favorevoli, gli scienziati hanno sparato rapidi impulsi laser contro il cielo, per un totale di oltre sei ore. Hanno ripetuto l’esperimento diverse volte, per mesi, monitorando quanto avveniva e dimostrando che i raggi reiterati e velocissimi sono riusciti nell’intento di cambiare la rotta di quattro fulmini. Può sembrare poco, ma non lo è: i filmati e i dati registrati sono un ottimo punto di partenza per quanto potrebbe avvenire in futuro.
Deviare i fulmini: possibilità e opportunità
Secondo Houard, il risultato dell’esperimento apre in primis la strada a sistemi di protezione dai fulmini basati su laser in aeroporti, rampe di lancio e grattacieli, luoghi ad alto rischio che ogni anno registrano anche gravissimi danni e diversi morti. Il laser, infatti, devia i fulmini creando un percorso più fluido per la scarica elettrica: quando gli impulsi laser vengono lanciati verso il cielo, il cambiamento nell’indice di rifrazione dell’aria li fa restringere e li sposta altrove.
Questo potrebbe implicare, come già accennato, la possibilità di creare dei veri e propri percorsi per i fulmini, con bacini che potrebbero raccogliere l’energia elettrica e, chi lo sa, trasformarla. Tuttavia, si tratta ancora solo di ipotesi, perché occorre capire come e in che modo questi percorsi possono essere creati. In Svizzera, infatti, è stato possibile soltanto spostare verso l’alto il fulmine, evitando che si abbattesse sulla torre.
«Confidiamo di trovare dei modi per sfruttare i fulmini e per limitare il loro impatto dannoso – ha detto Houard – ma la strada è ancora lunga. Per il momento, abbiamo cominciato a intravedere delle nuove opportunità. E questo è già qualcosa».