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SCIENZA

Il mistero del cervello vetrificato di Ercolano svelato dopo duemila anni

Anni fa in quel di Ercolano è stato ritrovato un cervello vetrificato: un recente studio ha svelato il processo unico che ha preservato i suoi neuroni per duemila anni

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Cos’è successo a Ercolano, nel giorno fatale dell’eruzione? Cos’è accaduto in quelle ore fatali e in che modo gli abitanti hanno cercato riparo, rifugio o inseguito un senso di sicurezza necessario per allontanare l’idea di quel peggio ormai imminente? A raccontarcelo è uno studio che fa luce su uno degli enigmi più affascinanti dell’area archeologica della città campana: il cervello vetrificato che è stato rinvenuto fra molteplici resti umani.

Un‘anomalia unica al mondo, un reperto così raro da sfidare per decenni la comprensione della scienza: il suo ritrovamento ha lasciato sgomenti archeologi e studiosi, incapaci di spiegare come un tessuto organico potesse trasformarsi in una sostanza vetrosa. Per anni è rimasta una domanda senza risposta, un dettaglio inspiegabile incastonato in quella che è ormai un’antica tragedia. Ora, un team di scienziati ha finalmente svelato il mistero.

Il mistero del cervello di vetro

Ma facciamo un passo indietro: correvano gli anni Sessanta quando, durante gli scavi nel Collegium Augustalium a Ercolano sono stati rinvenuti i resti di un giovane uomo. Fin qui, niente di strano: sono stati in molti a morire quando l’eruzione del Vesuvio seppellì la città sotto una coltre di fango vulcanico e materiale piroclastico. Eppure questi resti erano diversi da tutti gli altri, perché nella scatola cranica i ricercatori hanno scoperto frammenti di una sostanza lucida, simile all’ossidiana. Questo materiale, brillante e nero, era qualcosa di inaspettato: un frammento del suo cervello, vetrificato.

Il processo di fossilizzazione o carbonizzazione dei tessuti organici è noto in archeologia, ma nessuno aveva mai documentato un fenomeno di vetrificazione di un cervello umano: come poteva essere accaduto? Le temperature sprigionate dall’eruzione del Vesuvio erano incredibilmente alte, ma il corpo del giovane era stato sepolto sotto strati di cenere e in un ambiente che, in teoria, avrebbe dovuto distruggere completamente ogni traccia dei tessuti molli. La domanda rimaneva sospesa: perché proprio il suo cervello si era conservato in questa forma?

A rispondere è stato uno studio pubblicato su Nature, condotto da un team di ricercatori italiani e tedeschi. L’indagine ha permesso di comprendere che il fenomeno si è verificato grazie a un rapido e intenso innalzamento della temperatura, seguito da un raffreddamento altrettanto veloce. Il risultato è stato la trasformazione della materia cerebrale in una struttura vetrosa, unica nel suo genere.

Lo studio sul cervello vetrificato

A guidare la ricerca è stato il vulcanologo Guido Giordano dell’Università Roma Tre, insieme a esperti dell’Università Federico II di Napoli e dell’Istituto di Scienza, Tecnologia e Sostenibilità per lo Sviluppo dei Materiali Ceramici del CNR. Come accennavamo, le analisi hanno dimostrato che il cervello del giovane ha subito un processo di vetrificazione a una temperatura di almeno 510°C.

Utilizzando tecniche avanzate come la microscopia elettronica a scansione e la spettroscopia Raman, i ricercatori hanno osservato microstrutture perfettamente conservate all’interno del materiale vetroso: reti di neuroni e assoni, ancora distinguibili dopo duemila anni. L’ipotesi formulata è che il ragazzo, disteso nel suo letto al momento dell’eruzione, sia stato investito da una nube di cenere incandescente, la cui temperatura ha appunto superato i 500°C.

Questo calore estremo ha portato alla rapida disidratazione e carbonizzazione del corpo, mentre il cervello, protetto dalla scatola cranica, ha subito un repentino raffreddamento, trasformandosi in vetro prima che potesse decomporsi completamente. La cosa più sorprendente è che il fenomeno della vetrificazione organica è noto nei processi di crioconservazione, ma avviene solitamente a temperature molto basse: la scoperta di un simile evento in un contesto vulcanico rappresenta un caso unico e apre nuovi scenari nello studio degli effetti delle eruzioni esplosive sugli esseri viventi.

Le ultime ore di Ercolano

Ercolano fu travolta dal Vesuvio nella notte tra il 24 e il 25 agosto del 79 d.C. (anche se recenti studi suggeriscono che la data possa essere ottobre). Mentre la vicina Pompei veniva sepolta sotto una pioggia di lapilli, Ercolano sembrava ancora in salvo. La popolazione si affrettò verso il mare, sperando di fuggire via nave, ma il porto era già impraticabile. Poi, senza preavviso, una nube rovente di gas e cenere, invisibile ma letale, scese sulla città.

Fu un’onda di calore istantanea e devastante: uomini, donne e bambini morirono all’istante, i loro corpi colpiti da un impatto termico così violento da vaporizzare i tessuti molli. Nei magazzini vicino alla spiaggia furono trovati centinaia di scheletri accasciati uno sull’altro, segno di una morte improvvisa e senza scampo. Il giovane del Collegium Augustalium rimase invece nel suo letto. Non corse verso il mare, non cercò rifugio altrove.

Forse pensava di essere al sicuro, o forse la paura lo aveva paralizzato: quando la nube lo avvolse, il suo cervello subì un destino straordinario, trasformandosi in una sostanza vetrosa che oggi ci restituisce un’immagine unica della catastrofe. Il mistero del cervello di vetro, custodito per duemila anni sotto le ceneri di Ercolano, è stato finalmente svelato. E con lui, un frammento straordinario della tragedia umana che accompagnò l’eruzione del Vesuvio.

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